Primi anni a Washington, D.C. – Intervista con la scrittrice Francesca Andreini

Di Daniela Enriquez

Molti membri di Italians in DC conoscono già Francesca Andreini come uno dei fondatori del nostro club del libro, ParoLab. Quello che alcuni non sanno è che Francesca è soprattutto una scrittrice di romanzi il cui primo libro autobiografico – che parla proprio della sua vita a Washington, D.C. – è appena uscito.

Primi anni a Washington, D.C. è un libro che tutti coloro che si spostano per andare a vivere “altrove” dovrebbero leggere e…rileggere durante la loro permanenza all’estero. Il libro, oltre ad essere un interessante resoconto delle avventure, spesso divertenti, accadute alla scrittrice ed alla sua famiglia durante gli anni passati negli Stati Uniti, è sia un vademecum per chi si sente confuso dalle costanti novità di una vita nuova, in un posto nuovo, sia una guida sui generis di Washington, D.C. Francesca descrive benissimo l’adrenalina e l’entusiasmo delle nuove scoperte ma anche lo spaesamento di alcuni giorni, soprattutto quando si attraversano momenti difficili.

Insomma Primi anni a Washington, D.C. è un libro che consiglierei a tutti coloro che vogliono conoscere qualcosa in più degli Stati Uniti e dell’esperienza di vivere all’estero in generale ma anche a tutti gli italiani che sono interessati ad incontrare, seppur attraverso un libro, una loro connazionale dalla vita peregrina!

Con mio grande piacere Francesca ha acconsentito a rilasciare un intervista per il nostro blog che potete leggere di seguito. Potete comprare il libro sul sito di Edizioni del Gattaccio.

Intervista a Francesca Andreini:

Screen Shot 2016-03-27 at 12.45.41 PMDE: Quando e come è nata l’idea di scrivere un libro sulla tua vita a Washington, D.C.?

FA: Collaboro da una decina di anni con una rivista letteraria on line, Zibaldoni e altre meraviglie. Quando Enrico De Vivo, il curatore della rivista, seppe che mi trasferivo negli Stati Uniti mi ha proposto di scrivere qualcosa su questa mia esperienza. Dopo qualche mese che vivevo a Washington ho cominciato a mandare alcuni capitoli, e qualche mese dopo altri ancora. Più o meno spedivo tre capitoli a volta, seguendo anche l’andamento delle stagioni. Questo per i primi due anni, e da qui nasce il titolo del libro.

DE: Cosa ti ha positivamente colpita della città e della vita Americana e cosa negativamente?

FA: Washington è più verde, tranquilla e “facile” di come me la sarei mai immaginata. È anche più business oriented, superficiale e impersonale di come credevo prima di viverci. Ho dovuto scordarmi il calore dei rapporti che mi aspettavo con le persone, e ho dovuto fare i conti con un senso di straniamento che non mi sarei mai aspettato. Avevo ricordi vecchi, di un’altra America. O forse i ricordi di chi ha vissuto le emozioni di un viaggio, invece che le abitudini di un trasferimento. Ma superata questa fase di adattamento ho iniziato a capire e fare tesoro di alcune caratteristiche fondamentali degli americani. La forza, la resistenza. Il trovare sempre il lato positivo. La generosità, non importa se superficiale o falsa. L’entusiasmo (vedi sopra). La forma crea il contenuto, e la mentalità americana a forza di “apparire” dinamica e aperta, alla fine ti rende più cordiale e capace di risolvere i problemi.

Quello che invece non avevo percepito con tanta chiarezza, vivendo in Europa, è la durezza del sistema sociale ed economico degli Stati Uniti. Non c’è rete, si vince o si perde. Si è molto soli, senza l’appoggio di tutte quelle strutture familiari o statali che da noi ti sorreggono vita natural durante. Quindi ci sono individui e categorie vincenti e altre lasciate al loro destino. D’altro canto, se gli individui sono forti e meritevoli hanno libero accesso a scalate sociali da noi inimmaginabili. Quindi, come sempre, le cose sono complesse e difficili da decifrare. L’impressione generale che ne ho avuto, comunque, resta quella di un paese che si regge sulla grande forza e durezza delle persone. Che me lo rende, nonostante l’ammirazione che provo, troppo lontano dal mio modo di sentire.

DE: Il tuo libro può essere considerato una “guida alla vita a Washington, D.C.”. In che modo può essere utile a chi si trasferisce qui?

FA: Non ho pretese di fornire una guida… mi perdo troppo facilmente! Ma, scherzi a parte, credo che proprio descrivere gli smarrimenti e le scoperte, il senso di estraneità e anche i momenti preziosi in cui finalmente ci si ritrova, possa essere piacevole da leggere e da riscoprire in un libro, per chi si trasferisce. Nei miei racconti ci sono un po’ tutti gli argomenti, dalle abitudini più spicciole alle riflessioni sull’economia globale. Ma non ho assolutamente la capacità di fornire lumi su niente. Solo la voglia di condividere dubbi e riflessioni.

DE: Il libro è soprattutto un’autobiografia di una parte della tua vita ed un viaggio interiore dentro te stessa. E’ il primo romanzo autobiografico che scrivi? Come ha influenzato/modificato il processo di scrittura e il tuo stile?

FA: Non avevo mai scritto su di me ed è stato difficilissimo. Anche se, in realtà, non si sa esattamente chi sta “parlando”, non si sa nemmeno esattamente cosa è venuto a fare in America e perché. Si sa solo che è una donna con marito e figli, che si trasferisce a Washington per un certo periodo. Ho volutamente lasciato molto nel vago, perché le mie sensazioni, le mie riflessioni, pur essendo così personali e legate a certi momenti, a certe esperienze, potessero essere fruibili un po’ da tutti, tutti i lettori potessero farle un po’ proprie.

Non è stato facile mantenere questo tono coinvolto e distaccato al tempo stesso, ma credo di esserci riuscita. Così come ritengo di essere riuscita a restare sul leggero, mantenendo uno stile scorrevole, molto vario a seconda di ciò che racconto. In questo senso scrivere questo libro è stato una sfida ma anche un processo creativo molto interessante e molto libero. Fuori dagli schemi, fuori dalle convenzioni di una trama. Anche se un percorso, come dicevi giustamente, c’è. Il viaggio fisico in un luogo nuovo si intreccia a un percorso interiore che è giusto sia avvenuto proprio in un paese per me tanto importante come gli Stati Uniti, e mi abbia condotto in una nuova parte di me.

DE: Stai già lavorando ad un seguito?

FA: No, non ancora. In questo momento porto avanti progetti diversi. Ma chissà, magari un giorno, confrontandomi con un nuovo trasferimento, potrei di nuovo parlare di questa avventura che è partire e trovarsi davanti a tutto quello che credevamo di sapere, possiamo diventare, riusciamo a costruire…