Troppi discorsi, fiumi di parole, settimane di indigestione di notizie. Anche la primavera sembra tradirci con questo colpo di coda invernale che ci ha fatto rimettere giacconi e piumini vari.
E’ passato poco più di un mese dalla mia ultima riflessione. Temendo che forse le mie esternazioni fossero state mediamente negative, cercavo qualcosa di fresco, simile ad una ventata di primavera come la Pasqua avrebbe avuto diritto ad avere. Così ho preferito tacere, non trovando un argomento valido ma a cui si addicesse una impalpabile leggerezza nelle parole scelte.
Diciamo che vi ho lasciato tranquilli tra costose colombe e uova di varia natura, persi come turisti tra le ineluttabili fioriture o in gite ‘fuori porta’. Soprattutto ho taciuto per il fardello di una informazione che a volte diventa un carico pesante. …E come potevamo noi cantare? Ho appeso l’ipad all’ombra dei ciliegi, in mancanza di salici, desiderando, senza peraltro riuscirci, di isolarmi dal mondo, illudendomi di circoscrivere il mio mondo a un gazebo incorniciato da ciocche di fiori.
La mia riflessione oggi sarà breve. Sono sei anni che sul Corriere è apparso un articolo sul paese dei nessuno. E’ uno di quegli articoli che mi è rimasto dentro e, in momenti come questi, stralci della sua lettura riecheggiano nei meandri della mia memoria. Vi invito a leggerlo e, per aiutare i più pigri o i super impegnati sempre a corto di tempo, vi allego il collegamento ipertestuale: http://www.corriere.it/cultura/10_luglio_18/schiavi_senso_civico_605a76ec-9296-11df-929c-00144f02aabe.shtml
In soldoni l’articolo parla di me e di qualcun altro come me che forse, come spero, potrò trovarne fra voi: chi, per una strana alchimia, ha trattenuto in un angolo del proprio cuore quella obsolescente concezione del senso civico: in Italia, abbarbicati alla speranza di un Paese normale [ivi], da queste parti, invece, concretamente illusi che inseguendola abbastanza, la felicità non sia una chimera perduta e riservata a pochi eletti. Nell’articolo, tra le altre cose, c’è un rimando ad un racconto di Annamaria Ortese in cui, quelli come noi, senza amici di amici, veniamo semplicemente assimilati a formiche in lotta.
Chiudo questa mia riflessione con un’altra. E se Elena Ferrante avesse ispirato il suo silenzio a quello imposto alla Ortese, o forse scelto da lei come ripiego da volpe con l’uva? Ma di questo mi riservo di parlarne un’altra volta.