Cosa fate martedì?

mimosaCi stiamo avvicinando alla festa della donna. Festa della donna?  E quando si festeggiano gli uomini? Vogliamo parlare di parità?  E cosa si festeggia? Una specie in estinzione?

Negli anni della mercificazione di quello che era sembrato un tributo verso la consapevolezza del nuovo ruolo raggiunto dalle donne, dopo anni di lotte femministe [qualcuno ricorderà le ragazzine con le gonnellone a fiorellini, clogs rumorosi ai piedi e capelli in libertà – per tacer dei seni- che sfilavano al seguito di scalmanate adulte più agguerrite, che brandivano stendardi di biancheria intima?], in quegli anni, dicevo, si vendevano biglietti – tutto incluso- per pizza e birra a gogò, nonché autobus a noleggio che scarrozzavano orde di scalmanate avanti e indietro in qualche landa periferica dove facevano la loro comparsa, presso locali allestiti in squallidi ex capannoni aziendali, pseudo California boys. Erano quelli i viaggi della vergogna, organizzati da furbastri in cerca del soldo facile a scapito di attempate impiegate statali e casalinghe depresse, convinte a reclamare il diritto a celebrare il proprio sesso almeno una volta all’anno sui 364 giorni restanti.

A quello si accompagnava lo scempio ai danni di inermi alberi di mimosa che, grazie al riscaldamento globale, hanno modificato l’epoca della fioritura, fregando chi si appostava ai semafori brandendo il frutto del loro saccheggio per salvare da probabili ritorsioni, al rientro serale, consorti distratti e dimentichi della fatidica data.

Come tutte le mode, il fenomeno è, grazie a Dio, scemato. Le donne in Italia sono in larga parte convinte che un giorno di baldoria non aggiunga merito alle rivendicazioni sociali. Io vorrei in questa sede solo aggiungere che il cammino per la parità non si misura con le quote rosa, graziosamente elargite da quell’altra metà del cielo, fintantoché ci sarà una donna vittima di violenze e abusi, materiali e morali.

Se solo consideriamo il femminicidio, in Italia gli ultimi anni le statistiche riportano dati che calcolano una donna uccisa ogni tre giorni, ma il numero è purtroppo maggiore se si aggiungono quelle che sono maltrattate e tacciono le violenze subite, per sottomissione psicologica, per sfiducia nelle istituzioni, per la convinzione inculcata loro di esserselo meritato…

A chi tocca l’arduo compito di educare gli uomini al rispetto? Comincia dalle mamme.  Se queste ultime continuano a subire violenze dal proprio compagno, soprattutto alla presenza dei figli, perpetueranno per un’altra generazione lo scempio che, se pur denunciato e talvolta punito, viene per qualche strana alchimia, tacitamente accettato dalla società come quegli ineluttabili accadimenti tipo la grandine, la prostituzione e Sanremo.  Questo noi dobbiamo combattere.  Noi dobbiamo pretendere il rispetto come esseri umani, non perché donne; e come esseri umani abbiamo il dovere di impedire che questo stato di sudditanza continui.

Ogni volta che si appropinqua la fatidica data dell’otto marzo i giornali ripescano trite storie che a vario titolo, e con vari registri inneggiano o dileggiano la condizione delle donne. Se volete farvi del male cercate su Il Sole 24ore del 2 marzo u.s. l’articolo sulla disparità salariale in Italia: “Donne che guadagnano meno degli uomini.  In Italia prendono dai 3mila agli 11mila euro in meno”.

Proprio oggi Natalia Aspesi, nel commentare su La Repubblica il film Suffragette, nelle sale italiane in questi giorni, invita le ragazze ad interessarsi della vita politica e a riflettere su quanto sia costato ottenere il diritto al voto come inizio di una vita migliore, quella di cui godono oggi, per poi aggiungere: almeno rispetto a quella del passato. È quell’almeno che mi disturba.

L’illusione della libertà sessuale ha creato due enormi problemi. Da una parte la mercificazione del corpo della donna a fini commerciali di ogni tipo, dall’altra l’intimidazione che alcuni uomini percepiscono e che, per rivalsa, in alcuni casi sfocia in aggressività nei confronti di chi sembra sfuggire al consolidato secolare controllo su chi viene considerato inferiore.

Così l’8 marzo modifichiamo il concetto di festa della donna. La prima vera festa sarà celebrata quando quell’odioso neologismo scomparirà dalla Treccani.