Di Pandora Falasfoglia –
C’era una volta un bambino appassionato di matematica che, crescendo, da Taranto si trasferisce a Milano per gli studi universitari e il suo orizzonte si fa sempre più ampio, o forse meno irraggiungibile. Consegue una laurea in ingegneria aerospaziale (tre più due) tra Milano e Tolosa, e trascorre altri tre anni al MIT di Boston. Questa è la storia di un altro encefalo vagante nostrano che realizza i suoi sogni quando approda alla NASA – per occuparsi, tra le altre cose, del progetto che vedrà il lancio –si prevede entro il 2019 – del nuovo telescopio James Webb (JWST).[rimando al seguente link https://www.jwst.nasa.gov/per notizie più approfondite sul progetto]
Tutti noi abbiamo ricevuto notizie sulle immagini che l’Hubble telescope, ci ha regalato, negli anni d’oro del suo onorato servizio e, a malincuore, abbiamo appreso della sua andata in pensione. La sua messa in orbita fece sognare non pochi e alcune sue foto ci hanno regalato rare emozioni. Be’, il nuovo progetto promette cose ancor più strabilianti. Per semplificare, i media lo hanno etichettato come successore di Hubble, ma i due telescopi sono su due piani completamente diversi, per caratteristiche tecniche e capacità di resa. Faccio fatica a concepire dove andrà a posizionarsi nello spazio. Con ‘un occhio d’oro’ che ricorda quello composto di alcuni insetti, è talmente grande da doversi poter piegare per entrare nel suo razzo vettore. Inoltre la sua distanza dalla Terra renderà impossibile una manutenzione guidata. Dovrà ‘reggersi sulle sue gambe’ e possibilmente inviare dati per almeno cinque anni, forse dieci. Un telescopio di nuova generazione, dunque, con caratteristiche diverse dal più vetusto e famoso Hubble, e che sicuramente non ci risparmierà affascinanti fotogrammi dallo spazio più remoto. Una robetta da poco! Un progetto, dicevo, che sta per completare gli ultimi test. Chissà se quel bambino appassionato di matematica avrà mai ricevuto tra i suoi regali di Natale il telescopio della Clementoni! Di sicuro restò affascinato dalla missione Apollo, grazie ad un libro regalatogli dal padre. [nota per chi è a caccia di un buon regalo, se tanto mi da tanto…perché un buon libro è sempre un buon libro!]
Sono otto anni che Giuseppe Cataldo, ingegnere aerospaziale e ricercatore nella divisione di astrofisica del NASA Goddard Space Flight Center a Greenbelt in Maryland, si è inserito nel gruppo di lavoro che vede la sinergia di scienziati, ingegneri e informatici confluire nel progetto che resterà per sempre nei libri di scuola. Simpatico e riservato al tempo stesso, semplice e con i piedi per terra, in meno di un’ora mi ha raccontato la sua vita: dalla sua passione per la matematica, agli alti e bassi della progettazione e realizzazione del nuovo telescopio. Mi ha confermato che la complessità del progetto è dovuta anche ai numerosi cambi di rotta, in parte mitigati dalla capacità di essere pronti a buttare tutto all’aria e a ricominciare. In corso d’opera, infatti, hanno dovuto più di una volta azzerare piani di mesi per adeguarsi alla tecnologia che avanza alla velocità della luce, concedetemi la licenza. Dunque il progetto è a buon punto. Un lavoro di tanti anni e tanta energia. Lavoro, lavoro, lavoro. Ma cosa fa nel suo tempo libero? Si trova così bene in questo ambiente che frequenta il gruppo degli scienziati anche fuori dall’orario di lavoro. Sicuramente a quei livelli il confronto è costante e costruttivo. A casa, però, mi ha rivelato che libera la mente imbracciando il violino, strumento di cui è geloso e, potete scommetterci, altro regalo di mamma e papà.
Ma com’è l’ambiente di lavoro che ha trovato? Tutti cervelloni? Gente semplice, dice Giuseppe. Nella sua divisione sono tutti americani e solo il 20% sono donne – percentuale controbilanciata da una più massiccia presenza femminile tra gli scienziati. E come si sarà sentito, nel varcare la soglia del Goddard? Complesso di inferiorità? Be’, ovviamente varcare quei cancelli può incutere timore all’inizio, ma come ha detto, la spocchia presente in certi ambienti nostrani è del tutto assente. Il lavoro di squadra qui è essenziale. Considerate che il Goddard si alimenta delle menti più brillanti provenienti un po’ da tutto il globo. Tra le altre cose, il nuovo telescopio sarà lanciato in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che aveva anche sponsorizzato lo stage iniziale di Giuseppe in Maryland, e quella canadese (CSA).
E allora, c’è speranza per altri giovani italiani? Il consiglio più genuino che Giuseppe vuole lanciare è proprio questo: credere nei sogni e impegnarsi per realizzarli, perché nonostante tutto, e a dispetto di tutto, si possono realizzare. Ci tevi cretere…mi risuona nelle orecchie il mantra che, in passato, una sensitiva dell’ultim’ora lanciava nelle sue dirette telefoniche da una delle tante tv private italiane; in realtà è proprio così. Ovviamente se la spinta iniziale può essere costituita dall’interesse personale, qui l’inerzia non conta nulla, bisogna costruirsi una solida base di preparazione scientifica.
Mi chiedo se l’ennesima riforma della scuola sarà in grado di allargare gli orizzonti dei nostri studenti soprattutto per il gruppo delle materie STEM [acronimo che svelo per i pochi non anglofoni: Science, Technology, Engineering and Mathematics]. Lui, Giuseppe, ci è riuscito, e i suoi sforzi sono stati premiati, tra l’altro, con una borsa di studio messa ogni anno a disposizione degli studenti che, oltre ad una media eccellente, dimostrino uno spiccato interesse per lo studio dello spazio e della ricerca portata avanti dall’Istituto Goddard della NASA. Lui ci è riuscito, ora tocca a voi. Sette per otto?