Di Daniela Enriquez – Blog Editor
Diversi mesi fa ho pranzato con Giuseppe Sabella, fondatore di Think-in e curatore della versione italiana del libro “Cos’è il Lavoro”. Durante il pranzo abbiamo parlato di cristianità, dell’importanza del lavoro e del modo di affrontarne la mancanza. Sotto riporto una parziale versione dell’intervista.
Potete inoltre leggere due articoli sul libro “Cos’è il Lavoro” pubblicati su Zenit & Avvenire.
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IDC: Tu hai studiato filosofia e ti sei specializzato in dottrina sociale della chiesa: che differenze ci sono tra i fedeli italiani e quelli americani? Noti un modo differente di vivere la cristianità?
GS: Non ho mai analizzato il problema, essendo diverso il mio oggetto di studio. Posso solo dire che la chiesa americana è stata capace di rinnovarsi e che in Europa – ed in Italia – è nota la vitalità della chiesa americana di oggi. L’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio Pontificio non è un caso, da queste parti è diffusa la sensazione che l’Europa abbia bisogno dell’America in questo momento.
IDC: Parlaci un po’ della fondazione Think-in di cui tu sei direttore.
GS: Think-in si costituisce nel 2011, a cavallo di un mio viaggio negli USA e di un importante contatto con i think tank americani. Il modello è proprio quello dei think tank, la mission di Think-in è di sviluppare e creare consenso intorno a dei focus innovativi dell’economia e del welfare. Non a caso hanno aderito a Think-in, e oggi ne sono membri del comitato scientifico, tra le più autorevoli voci dell’economia e del lavoro in Italia tra cui Tiziano Treu, Giulio Sapelli, Giuliano Cazzola, Mauro Magatti, Segio Belardinelli, Flavio Felice e altri… Questi ultimi due sono tra i maggiori conoscitori italiani, e non solo italiani, della dottrina sociale della chiesa, a cui Think-in si richiama.
IDC: In che modo?
GS: Think-in si richiama alla DSC proprio come Joseph Ratzinger, autore di una delle più grandi encicliche sociali, la Caritas in Veritate, ha detto in uno dei suoi celebri discorsi alla politica, al Bundestag di Berlino: la DSC, che di base è teologia morale, è il modo per i cristiani di impegnarsi con un linguaggio laico nella società. La DSC offre, infatti, indicazioni che nell’edificazione di una società buona sono condivise anche dai laici. Non serve issare nessuna bandiera, credo anzi che al giorno d’oggi – soprattutto in Italia – sia importante ritrovarsi soprattutto nel merito dei problemi. Le ipotesi, che ogni tanto ritornano d’attualità, di un “partito dei cattolici” sono, credo, poco realistiche.
IDC: Adesso qualche domanda sul libro di Lester DeKoster.
Il titolo dell’edizione italiana è “Cos’è il Lavoro?”, ma il titolo originale dell’edizione americana è “Work – The meaning of your life” [Lavoro – Il significato della tua vita]. Sembra che il titolo in italiano sia una domanda di cui quello in inglese è la risposta!
GS: La domanda “cos’è il lavoro” di fatto apre a ciò che il lavoro è. Socrate quando fonda il metodo filosofico interroga i suoi allievi: cos’è la verità? cos’è la giustizia? cos’è la bellezza? Nella risposta a queste domande c’è il significato delle cose. Inoltre il titolo in italiano gioca con il sottotitolo “una prospettiva cristiana”: il sottotitolo risponde alla domanda, è ambivalente, non significa solo “un punto di vista cristiano”, ma afferma anche che il lavoro è una prospettiva di Cristo.
IDC: Cosa vuol dire che il lavoro è una prospettiva di Cristo?
GS: Significa affermare che l’uomo ha la possibilità di lavorare per Lui, ha la possibilità di servirLo. Proprio in questo senso, DeKoster cita la Parabola del Giudizio Universale (Mt 25, 31-46) in cui Gesù dice: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Nel lavoro l’uomo partecipa della creazione del mondo e della civiltà, non a caso in Genesi 2:15 si dice proprio “Il Signore pose l’uomo nel giardino di Eden, affinché lo coltivasse e lo custodisse”. La coltivazione, la semina – ovvero il lavoro – è il compito che Dio dà all’uomo. Ho conosciuto il libro di DeKoster grazie a Stephen Grabill, curatore della seconda edizione americana. Mi sono più volte chiesto se DeKoster, che era un protestante e che ha scritto questo libro nell’82, avesse letto la Laborem exercens, la grande enciclica che Giovanni Paolo II dedicò al lavoro nell’81.
IDC: In cosa la prospettiva cristiana sul lavoro è diversa rispetto a quella laica o di altre religioni?
GS: E’ proprio ciò che sto iniziando ad approfondire. Posso solo dire che ci sono molti laici che hanno a cuore il bene comune e che, quindi, hanno uno spirito di servizio nei confronti della comunità che è cosa a cui guardare con molta attenzione. Ma sono anche molto interessato a capire cosa ne pensano i mussulmani…
IDC: Oggi in molti paesi del mondo sembra difficile trovare lavoro: cosa consiglieresti a quelle persone che cercano lavoro e cosa consiglieresti a chi invece fa un lavoro che odia?
GS: Per quanto riguarda un adulto che ha famiglia e che perde il lavoro, la situazione è complessa: si sommano problematiche familiari a questioni professionali, la complessità in questo caso è davvero alta. Per quanto riguarda invece un giovane, è proprio da giovani innanzitutto che si gettano le basi per il proprio futuro, anche professionale. Dobbiamo aiutare i giovani nelle loro scelte, non dobbiamo lasciarli soli, sapendo però che sono loro a dover scegliere. Come disse stupendamente Benedetto XVI in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid (2011), “La domanda di lavoro, e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi, è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande”. Aiutiamo i giovani in questa ricerca della “vita più grande”, e a capire che il lavoro si può amare e non odiare; la fatica e le difficoltà non sono cose da odiare: non esiste lavoro, nemmeno il più bello, che sia privo di fatica.