Le interviste impossibili

marilena nardi contro la violenza di generedi Pandora Falasfoglia

     –   Tutto fa brodo e, in tempi di magra, qualcuno approfitta del vacuum nella produzione letteraria italiana (quella che vince la sfida del tempo) per una riflessione  sui testi delle canzoni di alcuni tra i nostri più abili cantautori. Sono solo canzonette, ammanniva Bennato, e non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Tuttavia ho il sospetto che il ruolo giocato, anche in maniera subliminare, dai testi delle canzoni incida nei nostri comportamenti quotidiani, benchè nei testi si possa trovare tutto ed il contrario di tutto.
Questo cappello per introdurre la riflessione di oggi sul testo di una canzone tanto amata da noi donne dal lontano 1987, Quello che le donne non dicono, immancabile ormai, visto il suo successo, nella scaletta dei concerti della nostra Fiorella Mannoia che, finalmente, ha deciso di attraversare l’oceano ed esibirsi da queste parti. [Broadway -Town Hall 23 Febbraio 2018 – Grande successo, a leggere la voce di NY. Cfr. https://www.lavocedinewyork.com/arts/musica/2018/02/24/fiorella-mannoia-a-new-york-grande-successo-e-non-solo-di-canzoni/].

La riflessione che segue è il risultato di una intervista rilasciata dal visiting professor E. Maria Ciaspoloni del dipartimento di Women and Gender Studies dell’università del Nord Dakota. Si parlava, appunto, della crisi della produzione letteraria italiana e più in generale di come sia cambiato il gusto dei lettori italiani. Guardando le statistiche italiane sulla riduzione dell’affluenza alle sale cinematografiche nel 2017 perché -e cito: “ Nel 2017 Checco Zalone non ha presentato nessun film” e per la inqualificabile fama goduta dai libri di Fabio Volo – ci si rammaricava interrogandoci sul compito degli autori; se fosse un atto dovuto, cioé, degli autori stessi o delle case editrici, quello di rieducare il gusto del pubblico ad una fruizione che si mantenesse ad un livello decisamente superiore a quello attuale, o se si dovesse semplicemente assecondare in una spirale involutiva il degrado del gusto stesso, fintantoché ci siano flussi di danaro nelle casse degli editori e Fabio Fazio mantenga un accettabile share nell’audience. In un attimo di silenzio, mentre il professor Ciaspoloni riprendeva fiato, umettandosi le labbra con un buon muffato umbro offerto dalla padrona di casa, improvvisa mi è arrivata come una folgorazione l’idea che dal 1987 in poi, quella canzone messa sulla bocca di milioni di donne, sia pur descrivendo una condizione che rispecchiava la società di allora, sia servita ad incatenarle in un ruolo comunque gregario.

lucine

La polemica se l’avesse scritta proprio Fiorella è durata poco [e ora mi chiedo se non la canti solo perché le venga ‘imposta’ dalle sue fans e se invece la cantante abbia magari compiuto un percorso interiore di crescita, per staccarsene. Fiorella stessa ammetteva che la vita non aspetta ne Il viaggio (2014), per poi ricredersi ne Che sia benedetta (Sanremo 2017) dove la vita sembra sia più incline a collaborare: se ti fermi ti aspetta].

Quello che le donne non dicono è stata scritta, ormai è conclamato, da due uomini, e questo potrebbe giustificarne il testo. Vi invito, tuttavia, a rileggerlo, senza la seduzione del motivo siglato da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone, o dell’inconfondibile timbro di voce della cantante.
Rileggendo le sue parole ho avuto la sgradevole sensazione che il testo abbia conformato migliaia di ragazze a quel ruolo gregario di cui parlavo. Gregario, sottomesso, rassegnato, proprio nel periodo in cui le donne lottavano per le proprie rivendicazioni sociali. Un ruolo che non fa aprire loro gli occhi quando chi c’è già o potrà arrivare è avaro di complimenti, e le lascia in un familiare silenzio che risuona nelle tante giornate amare, visto che c’è chi non riesce più ad avere un dialogo con loro, tanto le sceme restano lì, mica la canzone le sprona a trovare il coraggio di denunciare chi è causa delle giornate amare; e qui penso alle tante sottaciute violenze fisiche o psicologiche. Forse i silenzi e l’amarezza sono invece il frutto della frustrazione per non essere state credute e di essere state rispedite a casa dal funzionario di turno a cui servono, a norma di legge, prove inoppugnabili. Ne convenite anche voi? Voi che come me vi siete fatte cullare dalla canzone, accidenti, e magari vi siete fatte convincere a far scivolare via il dolore e a tirare avanti. Quante volte negli anni con questa canzone sono stati improvvisati cori più o meno brilli per chiudere egregiamente, sui piatti sporchi di improbabili pizzerie gremite, le serate ‘venti euro trasporto compreso in bus granturismo’ offerte dal CRAL nel giorno in cui si dovrebbe invece riflettere e organizzare un piano di azione?zo in pizzeria

I tempi sono più che maturi. Lo abbiamo visto nelle marce colorate dai pussy hats e nella crescente adesione a #metoo, ma non basta. Voglio che queste manifestazioni diano non solo il coraggio, ma la consapevolezza che chi nasce tondo non muore quadro e non bisogna convivere con l’ologramma di un compagno che ci siamo costruite con certe parole da bambine ma che non corrisponde alla realtà.
Chiudo questa riflessione che giro a voi, in questa giornata di marzo che ogni anno sembra sempre un po’ più annacquata, un po’ più svilita da quelle mimose acquistate frettolosamente e per consuetudine a sera, lungo la strada di casa solo perchè c’è chi invoglia all’acquisto, in cerca di un facile guadagno; fiori sbandierati per rassicurarci, da chi li brandisce in una mano che forse un giorno userà per impugnare un’arma ed attuare così la sua personale soluzione finale.

vittime donne

Nota: come qualcuno avrà capito, il prof. Ciaspoloni è un artificio usato prima di me da ben più illustri autori ed è frutto della mia fervida immaginazione; fa il verso, benevolo, ad un più esimio studioso di testi della canzone d’autore italiana, [cfr. F. Ciabattoni La citazione è sintomo d’amore, Carocci, 2016], ma il nocciolo della questione non cambia.

L’illustrazione di Marilena Nardi è stata inclusa con il permesso dell’autrice.