L’italiano del mese

L’italiano del mese

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Stavolta l’italiano del mese è una italiana, anzi una romana.  Che ci fa una romanaccia, che non lavora all’ambasciata, a Washington DC?  Lo chiediamo a lei direttamente e cominciamo dal nome.  Perché Maby?  è sicuramente la domanda che si è sentita rivolgere più volte.  Qualcuno, spiritoso o un po’ duro d’orecchi la mette sull’equivoco: Come? Moby? Come Moby Dick?

La portatrice del nome, che in quella frazione di secondo vi ha già catalogato tra i buoni o i cattivi, sciorina con sofferta pazienza la spiegazione che decodifica il compromesso storico di tanti genitori italiani trovatisi a gestire la ferrea tradizione del nome dei nonni da imporre ai pargoli, nel momento di transizione tra il vecchio e il nuovo, per realizzare  il desiderio di chiamare il proprio erede come meglio gli aggradi.  So di ardite combinazioni tipo Mariantonella, Gian Mario senzalavirgola, Annachiara e via dicendo, ma di acronimi non me ne erano ancora capitati.

Infatti, come Troisi  (ricordate? “Emigrante?” “No, veramente, io un lavoro ce l’avevo!” ) aveva lasciato la sua città dove l’attendeva un lavoro al suo ritorno. Ma, a quanto pare, l’offerta di una scholarship in Maryland le ha permesso di conseguire il suo PhD e di trasferirsi definitivamente da queste parti.

“Pensando alla tua professione attuale, di cosa ti occupi realmente?   Intendo dire che il nome della compagnia per cui lavori spiega tutto e niente.  Aprendo la sua pagina iniziale la dichiarazione d’intenti che si legge potrebbe andar bene in questo momento anche per paesi come l’Italia…”

“Noi collaboriamo con USAID e sviluppiamo progetti in paesi che hanno problemi di vario tipo, dalle vaccinazioni all’istruzione, ma insegnamo anche un tipo di agricoltura sotenibile, molte volte in contrasto con le multinazionali che impongono monoculture. Abbiamo insegnato l’importanza di coltivare un orto come mezzo di sostentamento familiare e fonte di piccolo guadagno a livello locale.  Abbiamo aiutato soprattutto le ragazze e le donne ad adottare in igiene alimentare per la protezione dei neonati e non solo.  Sono molto orgogliosa del lavoro svolto e spero che le future amministrazioni mantengano la visione positiva verso la valenza della cooperazione allo sviluppo a livello globale.”  

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Le chiedo: “Se non fossi qui, dove saresti?” . “E chi puo’ dirlo?”  È la sua risposta secca; “A Roma, forse, o in Inghilterraaggiunge, dove pure aveva trascorso un periodo negli anni della sua formazione. Ammette infatti che il suo imperativo categorico è quello di seguire l’istinto.  “Vuoi dirmi che da adolescente non c’era la “Merica” nel tuo orizzonte di attesa?”Neanche per sogno!”  E negli occhi le guizzano scene di occupazioni e cortei studenteschi che intasavano le vie di Roma per manifestare contro tutte le forme di imperialismo, sopraffazione e ingiustizia sociale possibili.

E ora dimmi: cos’è che ti da veramente fastidio?

La pigrizia mentale della gente, l’indolenza”.

E cosa pensi dell’ozio?”  La sua risposta sembra scaturire dagli insegnamenti di Giovanni Calvino.  Non c’è spazio per l’ozio nell’orizzonte di attesa di Maby.  Infatti, le ore di ‘non-lavoro’ le impegna in settecendododici attività diverse che la vedono in primo piano ad organizzare incontri, partecipare a spettacoli, nonché a gustare piatti vegetariani nel poliedrico universo culinario del circondario.  Incalzo senza tregua: “Che pensi, dunque, della meditazione?”  (Forse se le avessi chiesto dell’ozio creativo avrei avuto miglior fortuna, chissà!)

Non riesco a star ferma! Invidio quelle persone che riescono a farlo, so che le persone che meditano affrontano la vita in modo diverso, ma proprio non ce la faccio!”

Ora che  il polline, a livelli di guardia in questi giorni, sembra avere la meglio sulla nostra conversazione, ne sparo una alla Marzullo: “Chi non è con me è contro di me: quanto spazio concedi alla mediazione e alla tolleranza?”

Sono caratterialmente impulsiva, come tu hai detto prima, borderline aggressive, ma poi alla fine mi trovo sempre a capitolare…” il più delle volte, aggiungerei io.

“Questa generazione di italiani non è approdata su questi lidi con la valigia di cartone, ma secondo te, com’è cambiata la percezione che gli americani hanno degli italiani?”

Siamo ancora in un periodo di transizione.  Gli stereotipi sono una cosa dura a morire, ma gli italiani con cui sono in contatto,[attraverso Italians in DC, la comunità italiana più stanziale e le meteore -gli stagisti, o quelli a contratto breve, per intenderci, n.d.r.] non vivono sugli allori della strada spianata dai nostri connazionali che, magari meno istruiti ma col desiderio di vivere il sogno americano, ci hanno preparato lottando costantemente contro certi pregiudizi, riuscendo ad affermarsi in diversi campi.”  Le comunità italiane, soprattutto le nuove generazioni che magari vivono  low profile, non si sentono né emigranti, né inferiori e soprattutto non si ghettizzano come avviene per altre comunità. Certo, siamo pronti a darci una mano: il tam tam per scovare gli ingredienti italiani migliori sul mercato, poi, è attivo più che mai al suo interno.  Noi lavoriamo per il PIL!

“Vabbe’, torniamo alla tua professione: Quali sono i tuoi programmi per i prossimi dieci anni?  E’ arrivato il momento dei bilanci, o stai pensando a cosa vuoi fare da grande?”

Che bilanci! Adoro il mio lavoro.  Voglio continuare a lavorare in questo campo, cosa che mi permette di viaggiare, entrare in contatto con le persone, fotografare i luoghi più estremi e ricevere grandi gratificazioni…

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“C’e stata una persona che ha influenzato le tue scelte professionali?”

“Be’, diciamo che sono stata fortunata nel senso di avere avuto opportunità di proseguire gli studi qui, ma certamente riconderò sempre Pierangelo Isernia, che è stato il mio mentore per la tesi. Ora  professore all’universita di Siena all’epoca, 25 anni fa, lavorava a Roma come ricercatore ed era con me all’Archivio Disarmo (la ONG di Andernini) dove abbiamo fatto le mille ricerche sull’opinione pubblica italiana e il militare (leviamo la leva e introduciamo il volontariato!) Con Isernia, in Italia, ho scritto la mia tesi sulla cooperazione allo sviluppo, il mio grande amore. Un’altra persona fondamentale e’ stata mio zio, che e’ stato ambasciatore in vari posti (tra cui Cuba) e soprattutto  Direttore Generale della cooperazione allo sviluppo. Una figura politica di potere, e molto ambizioso… ha avuto un forte ascendente su di me.. un ruolo fondamentale. 

“Ma pensi di ritornare un bel dì a Roma?” “Be’ Roma ce l’ho proprio nel cuore.  Roma è Roma. Però adoro il mare e, sinceramente, la costa laziale non è tra le mete migliori.  Certo mi piacerebbe tornare per dei periodi nella mia città ed eventualmente alternarli con vacanze nella bellissima macchia mediterranea che ancora si trova in Puglia, e con altre zone, sempre paesi costieri, magari il Libano o la Giordania, chissà!”

Quando ormai il tramonto ha ceduto il passo ad una tiepida sera primaverile chiudo l’intervista con un ultima domanda: “Se potessi usare una bacchetta magica cosa vorresti fare?” Senza esitazione ribatte:

La guerra. Vorrei far terminare tutte le guerre”. In realtà condivide la visione della compagnia per cui lavora e che riporto dal sito: …envisions stable neighborhoods, communities and regions that can develop effective institutions to provide for their people, enabling them to overcome hardship and live peaceful and fulfilling lives.

Insisto: “Questo per l’umanità, e per te?”

Per me nulla.  Io sto bene così!”

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