[Un paese di carta e’ il libro del mese di maggio letto dai membri di ParoLab. All’incontro ha parteicpato anche la scrittrice Laura Benedetti]
Fin dal titolo, Un paese di carta (Pacini editore, 2015) questo libro ci propone una metafora da decifrare. Nel contesto poi ci sarà un riferimento al “paese di carta” come al paese di appartenenza, un ricordo un po’ nostalgico, e magari idealizzato. Ma il lettore potrebbe anche interpretare la metafora come l’immagine di questo universo letterario. Cioè di una realtà scritta. Che esisteva nella mente dell’autrice, e ora esiste sulla carta. Come lo scultore si serve del bronzo per creare una statua e renderla fenomeno tangibile, così la scrittrice si serve della parola (su carta) per creare la sua opera e renderla manifesta. Daltronde, nel corso della narrativa ci sono decine di allusioni, alla grammatica, ai verbi, e alla poesia. Tutto ciò dirige la nostra attenzione al fatto che stiamo navigando un mondo costruito, creato dalla mente dell’autrice.
Questo preambolo potrebbe spaventare il lettore—mamma mia, dev’essere una pizza. Niente affatto. Il libro è di piacevolissima lettura. È uno di quei libri in cui il lettore si trova immerso nella vicenda e viaggia con i personaggi attraverso le loro peripezie, condividendo i loro problemi e le loro gioie.
Allora, come si svolge la storia? La struttura narrativa che sostiene personaggi e vicende è ben congegnata, solida, non ci sono cedimenti. Sembra frammentaria perché non è lineare: salta da un luogo all’altro e da un’epoca all’altra. Ma i frammenti spazio/temporali si combinano perfettamente nel sistema. E questo non è facile se pensiamo a luoghi così diversi tra loro in cui agiscono i personaggi: la suburbia di Bethesda, borghese e conformista; la pristina natura del selvaggio West; e una città italiana, L’Aquila, profondamente ferita nella sua storia e cultura, che non riesce a risorgere dalla distruzione di un violento terremoto. E non è tutto, c’è anche uno spazio nell’aldilà, che molto graziosamente si inserisce nell’aldiqua. E nessuno di questi spazi è superfluo. Ognuno ha la sua funzione nel sistema del romanzo.
Ma non ci sarebbe storia senza i personaggi. Tre donne, tre generazioni: nonna (Alice), mamma (Jane) e figlia (Sara), e un numero di personaggi di contorno. Ognuna delle tre protagoniste ha una chiara identità e una voce distinta. Anche se la narrativa è in terza persona e ci affidiamo a un narratore onniscente, avvertiamo però il cambiamento di tono a seconda che parli dell’uno o dell’altro personaggio, come se il narratore assumesse la personalità del personaggio in questione.
Quindi, si tratta di una voce narrante piena di sfumature: ci trasmette l’insicurezza di Sara, i suoi turbamenti di adolescente, il risentimento verso la madre, il dolore per la perdita della nonna, e la ricerca di conforto nella relazioine sessuale con una donna, che è un gesto di sfida verso la famiglia ma è anche un sentimento vero, che, come si vede alla fine, le darà stabilità emotiva per superare i suoi problemi e diventare adulta. Jane, la madre, è una tipica donna americana, middle class con casa in suburbia, preoccupata per la figlia che ha problemi con l’alcol, ma troppo presa dal suo lavoro in real estate e dal suo partner e collega per potersi veramente dedicare a questa figlia. E poi c’è Alice, la nonna, che ci parla dall’aldilà. E questo è il personaggio più interessante di tutti, è il motore della storia, perché Sara intraprende il suo viaggio, fisico e psicologico, per scoprire diciamo ‘il segreto’ della nonna, ciò che di lei non sapeva.
Questi fatti vengono svelati poco per volta nello svolgimento della narrativa, creando una certa suspense. Emergono da resoconti di personaggi, o da documenti, o lettere. Ed ecco che nella narrativa si inseriscono altre storie, in cui vediamo Alice giovane, la sua storia d’amore con un compagno d’università, una storia di guerra partigiana, e poi l’incontro con un hippie vagabondo che se la porta in America.
Quindi il libro tocca il tema dell’emigrazione, e la conseguente perdita d’identità. Ma questo non è tanto il problema di Alice, che si adatta, magari a fatica, ma si integra nella società americana. E non è nemmeno il problema di Jane che è americana al 100%. Ma è invece un problema per Sara, che ha subito molto l’influenza della nonna e ne ha assorbito una dose di italianità. Ora deve trovare sé stessa e scoprire chi è.
Il tema principale del romanzo è quindi la ricerca della propria identità, mentre gli altri temi gli fanno da cornice mettendolo in luce. Emigrazione, conflitto famigliare tra madre e figlia, storie d’amore, sono strumenti per evidenziare il problema di fondo. La domanda, chi sono io?
© Anna Lawton 2016