Di Daniela Enriquez
[Lo scorso febbraio, Edoardo Albinati, vincitore del premio Strega 2016 con il libro “La scuola cattolica” è sbarcato a Washington, D.C. per una serie di eventi che hanno coinvolto diverse organizzazioni americane e italiane tra cui l’Ambasciata d’Italia, la Library of Congress e la Georgetown University. Tra i tanti impegni, Albinati ha trovato il tempo di partecipare a un incontro di Parolab con i lettori di Italians in DC e di rilasciare un’intervista sul suo ultimo libro.
“La scuola cattolica” racconta fatti e personaggi prendendo come spunto il cosidetto “delitto del Circeo” (1975), e analizzandone lo sfondo storico e sociale. Luoghi principali di quegli eventi sono il Quartiere Trieste di Roma e in particolare la scuola San Leone Magno, frequentata in quegli anni dallo scrittore e dagli autori del delitto.
Questa è una versione leggermente modificata dell’intervista avvenuta il 24 febbraio 2017 a Washington, D.C. Alla fine dell’articolo potete trovare l’audio completo dell’intervista]
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DE: I fatti che racconti nel tuo libro sono successi molti anni fa. Come mai hai deciso proprio adesso di scrivere un libro che li riguarda?
EA: C’è voluto molto tempo prima che l’idea del libro venisse fuori, esattamente 30 anni, dato che il delitto è avvenuto nel 1975, e c’è voluto parecchio tempo anche per scriverlo, dal 2006 fino alla sua pubblicazione l’anno scorso. Io non avevo nessuna intenzione di disseppellire quelle storie, senonchè uno degli assassini è tornato a uccidere trent’anni dopo: anche in questo caso le vittime erano due donne, madre e figlia. Da lí è nata l’idea di scrivere sul primo delitto che risaliva ai tempi della scuola. Ma è proprio questa distanza temporale che ha permesso agli eventi di “allontanarsi” e al tempo stesso mettersi a fuoco, e a me di scriverli prendendomi maggiore libertà.
DE: Il romanzo è in parte autobiografico ma tu ti soffermi diverse volte sul ruolo della fantasia nella realtà e nella letteratura. Quanto c’è di vero nel romanzo e quanto è finzione letteraria? Qual è il rapporto nel testo tra memoria, invenzione e verità?
EA: La memoria ti permette di ricordare in linea generale certi personaggi e certi episodi che però solo l’immaginazione può approfondire sulla pagina. Del resto, il ricordo è sempre questionabile, perché, in fondo, si tratta del mio ricordo, dunque è già in buona parte una ricostruzione tendenziosa. Perciò all’inizio avevo pensato di interrogare alcuni dei miei ex-compagni di scuola e farmi ri-raccontare alcuni eventi da loro. Alla fine ho però deciso di dare un’unica versione letteraria, la mia, che potrebbe essere molto vicina, abbastanza vicina o lontana dalla realtà fattuale… L’importante era che gli episodi riuscissero dal punto di vista narrativo. In molti casi mi sono ispirato a fatti che io ricordo in un certo modo, altri li ho modificati consapevolmente, altri involontariamente. In alcuni casi ho costruito delle trame parallele, dei personaggi totalmente inventati per completare ed intensificare la storia. Il libro non vuole essere nè un memoriale, nè un’autobiografia, nè una ricostruzione puntuale dei fatti avvenuti: tranne nella piccola parte in cui viene descritto il delitto in quanto tale e per la quale mi sono servito dello stesso materiale legale (sentenze, verbali, intercettazioni) di cui si servirebbe un giornalista o uno storico. Solo in un caso, per ragioni narrative, ho seguito una pista che era stata dichiarata infondata dalla magistratura, e di cui invece io mi servo, e riguarda un altro omicidio di cui uno degli assassini si è autoaccusato, ma alla cui ricostruzione la magistratura non ha dato credito.
DE: Il tuo libro prende spunto dal delitto del Circeo ma si intitola “La scuola cattolica” e analizza la borghesia italiana degli anni ’70. Credi che, nella vita degli assassini, sia stata più rilevante l’educazione cattolica o il crescere in una famiglia borghese? O entrambi gli aspetti erano inscindibili in quel periodo storico? Insomma chi ha creato questi mostri?
EA: Il temine “mostro” lo prendo sempre con le molle. Definire gli assassini mostri è un modo semplicistico di risolvere un problema che rimane: quello di tre ragazzi di buona famiglia che si danno ad attività criminali tra cui la più significativa, quella in cui si esprime al massimo grado il loro spirito fascistoide, è la violenza sessuale. Mentre altri all’epoca praticavano la loro ideologia in azioni di terrorismo politico e vero e proprio neofascismo, loro la manifestarono cosi. Non credo (e infatti non ho mai scritto!) che questi ragazzi siano un prodotto nè della scuola cattolica, nè delle famiglie benestanti in cui sono cresciuti. In quella scuola e in quelle stesse famiglie c’erano altri ragazzi “normali” quindi il collegamente scuola-famiglia-delitto non è affatto meccanico. Sicuramente, però, da una parte la rete di protezione, l’indulgenza, il laissez-fare tipico dell’ambiente borghese-cattolico di quell’epoca, e dall’altra un’insieme di tare personali, mancanza di freni inibitori, e sensazione di onnipotenza, hanno creato in quelle persone, in quegli episodi, e soprattutto in quegli anni, una miscela instabile. Che infatti è esplosa.
DE: Credi che oggi l’educazione di un ragazzo italiano in una famiglia borghese sia diversa? In cosa? Come è cambiata la gerarchia della famiglia italiana negli ultimi 40 anni?
EA: Prima di tutto voglio precisare che non ho nulla contro l’educazione borghese, è quella che ho ricevuto anche io. L’educazione moderna è borghese tout court: non esiste un’educazione proletaria o aristocratica. Mi pare che oggi sia avvenuto un riavvicinamento molto forte tra le generazioni: fino agli anni ‘70 i genitori erano molto lontani dai figli, noi li consideravamo dei vecchi. Nonostante fossero più giovani dei genitori di oggi, sembravano molto più anziani, voglio dire, ascoltavano della musica, parlavano in un modo ed avevano dei valori completamente diversi da noi. Oggi le generazioni si sono ravvicinate e tutto è diventato più vischioso. La borghesia degli anni ‘70 è morta e non si può più replicare, la piccola borghesia si è spalmata in tutte le direzioni e ha reso impossibile fare ciò che all’epoca era ritenuto fondamentale: guadagnarsi la cosidetta “distinzione”. In quell’epoca, compresse nello spazio familiare, convivevano fianco a fianco una morale arcaica, tradizionalista ed una invece molto moderna, aperta, progressiva. Insomma, ancora prendevi le legnate dai tuoi genitori, come ai vecchi tempi, però già potevi mandarli “a fanculo”! Le famiglie reagivano alle novità tenendole fuori dalla porta o accogliendole, ma non omogeneamente, in ordine sparso e caotico. Non si sapeva più se e come punire i figli: correggerli con le botte o attraverso il dialogo? Tutto ciò rende quel periodo della storia italiana confuso ma particolarmente interessante.
DE: Cosa significa per te aver vinto il Premio Strega e quali progetti hai per il tuo futuro letterario?
EA: Uno dei significati del Premio Strega è l’essere stato invitato qui a Washington, D.C.! Se sei un autore molto giovane, questo riconoscimento ti fa “scoprire” in assoluto, se invece, come me, sei un autore non più di primo pelo, be’, ti consacra, ti risarcisce; completa la carriera in modo istituzionale e ti fa ottenere un certo status. Io ho vissuto la vittoria nel più totale Nirvana, quindi più per interposta persona, cioè attraverso l’entusiasmo del mio editore, dei miei amici e della mia famiglia.
Nell’ultimo mese ho scritto di getto e a mano un libro breve, una novella, dopo quasi un anno di inattività: ora la sto ricopiando sul pc.
DE: Una curiositá: perchè pensi che il tuo libro, nonostante sia molto voluminoso, non sia adatto per una lettura su E-book?
EA:Vorrei precisare che non sono nè a favore nè contro la lettura su Ebook, anche se personalmente mi sono accorto che non riesco a leggere sul libro elettronico. Un romanzo come “La scuola cattolica” si sarebbe detto a priori adatto per E-book, essendo così voluminosa l’edizione cartacea. Però basandomi sull’esperienza e i commenti dei lettori, ho scoperto che statisticamente la maggior parte di quelli a cui il libro non è piaciuto, l’avevano letto su kindle. Ciò mi ha fatto pensare che nonostante la comodità di leggere un libro di 1300 pagine su un oggetto leggero, questa lettura non dà la sensazione fisica, quasi materiale, di star compiendo un percorso, un’impresa. Con il libro in mano, la fatica della lettura viene riconosciuta, lo scorrere delle pagine lascia delle tracce del tempo trascorso. Questo libro ha confermato l’ipotesi che la lettura su carta renda il rapporto con il libro più intimo, più concreto, anche nelle sue difficoltà.
DE: Un’ultima domanda molto importante per noi italiani che viviamo qui. Cosa ne pensi di Washington,D .C.?
EA: Purtroppo ho visto ben poco della città. Ho fatto la tipica passeggiata tra i “buildings del potere”; ho rivisto quella che considero la più bella e concentrata collezione di pittura italiana, alla National Gallery of Art; ho passeggiato per Georgetown e visitato l’università; e ho cercato, più che altro lavorando di fantasia, di percepire il cambiamento legato alla presenza del nuovo Presidente di cui tutti, anche in Italia, sono terribilmente curiosi.