La stagione delle feste

tacchino cinzia
Dietro ognuno di noi esiste un motivo propulsore che ci ha catapultato da quest’altra parte dell’oceano; ed eccoci qui, affaccendati in svariate faccende più o meno degne di nota.  Nell’accingermi a scrivere per questo blog più volte ho immaginato il pubblico dei lettori di questa pagina; cosa vi avrà mai condotto qui, ad investire il vostro tempo in questa lettura.  Chi sono io?  Una di voi, lo giuro.  Imparerete a conoscermi seguendo questo blog che definirei, se me lo concedete, alternativo.  A dirla tutta non sono costante nel seguire i blog altrui.  Ogni tanto inciampo in taluno o talaltro, senza  grandi emozioni, e qui torno alla domanda di cui sopra.  Prima, però, di alienare completamente la vostra attenzione, vorrei spostare la discussione sulla festività appena trascorsa come spunto per aprire una finestra, o  magari un salotto per scambiare le nostre vedute.

Da un paio di settimane qui negli Stati Uniti, come da tradizione, si è aperta la Stagione delle Feste.  Sissignori, la stagione delle feste.  Dalle nostre parti, siamo più avvezzi a sentire notizie del tipo :” si è aperta ieri la stagione della caccia…”  Qui, sempre molto politicamente corretti ed inclusivi, si riferiscono al periodo festivo di fine anno che parte dalla festa mobile del cosiddetto giorno del ringraziamento.

I miei contatti con la festa del ringraziamento risalgono a diversi decenni orsono, quando, un po’ la lingua e molto la cultura crearono, se non un vero e proprio incidente diplomatico, un fraintendimento da lost in traslation che però mi portò a riflettere sulle tradizioni in generale e sulla loro trasposizione all’interno di ciascuna famiglia.

Inviata al Thanksgiving Dinner presso la casa di un militare statunitense stazionato a Napoli, in un periodo in cui le rivendicazioni sindacali del personale civile italiano presso le basi militari dei paesi aderenti al Patto atlantico avevano permesso alle due nazionalità di festeggiare ciascuna le proprie feste, credetti che l’invito fosse per una cena – non avevano detto dinner nell’invito? – Avevo dunque pianificato di andare a lavoro per salvare un giorno di ferie per le mie festività e solo all’ultimo mi spiegarono che si sarebbero riuniti intorno al desco molto, ma molto prima dell’ora di cena. Cercando di rimediare alla men peggio ci presentammo verso le diciotto per essere accolti da visi smunti e colli lunghi, e per assaggiare tutto tranne il menu canonico. Questo anche dovuto al fatto che il capofamiglia fosse indiano (no, non quelli con le piume – per parafrasare la canzone di Cochi e Renato – indiano dell’India). Il primo vero contatto con quello che credevo fosse ‘The official Thanksgiving dinner’ mi fu riservato negli anni a venire – e arrivo al punto del contendere:  Il tacchino, questo sconosciuto.

Spostando in avanti la macchina del tempo ricordo con ilarità la battuta di Paulie Gualtieri ne The Sopranos, quando elenca le pietanze del menu della festa.  Non so chi e se qualcuno lo abbia mai avuto l’opportunità di seguire quell’episodio, ma a parte la sciorinata di un innumerevole numero di portate italiane, inclusi antipasto e lasagna, Paulie chiude l’elenco con la frase: “…and then the bird!”  Al di là della facile risata, per me è stato uno spunto di riflessione sulle tradizioni personali, familiari e nazionali, nonché sulla differenza profonda che divide Italians in DC – o ovunque in U.S.A. e quelli che di italiano vantano solo una più o meno labile discendenza.  Quelli, per intenderci, che  sono i nipoti e i pronipoti di quegli emigranti con la valigia di cartone che avevano seri motivi per lasciarsi il paese natìo alle spalle e buonanotte al secchio. Magari questa discussione la intavoliano un’altra volta; non voglio mettere troppa carne a cuocere.  Per ora sarei curiosa di sapere quanto della festa viene da voi condiviso e quanta ‘contaminazione’ riuscite ad apportare.

Il periodo delle feste viene considerato dagli studi di psicologia spicciola corrente come una delle principali cause di stress. Chi di voi non ha partecipato a quei sondaggi per scoprire tutto quello che ancora non sapevamo su noi stessi per poi essere trasformati in un numero percentuale?  Dopo la morte del coniuge e il divorzio, Natale spicca in tutto il suo feroce fulgore. Sarà perché i nostri non somigliano ai bambini della Bauli? Sarà perché il periodo dell’avvento non rappresenta più quello che ci prepara e il Natale ci sorprende sempre troppo presto, con una lista di cose da fare, comprare, spedire che ci fa sentire incapaci, inadeguati, pasticcioni, lontanissimi dalle famiglie felici della pubblicità?  Quali sono le cose che per voi DEVONO assolutamente essere presenti nel vostro personalissimo immaginario festaiolo o nella sua proiezione nell’immaginario collettivo?

Io oserei azzardare che per un discreto numero di noi, trapiantati in via più o meno stanziale da queste parti, il senso della festa si è modificato.  Vi lascio con questo spunto di riflessione e con la speranza di sentire da

voi.